Per revisione di una protesi d’anca si intende la procedura chirurgica che
- rimuove tutta la protesi fallita o parte di essa;
- predispone l’osso che ha ospitato la protesi fallita ad accogliere una nuova protesi;
- impianta la nuova protesi (dopo averla scelta con uno studio pre-operatorio accurato) in modo che corrisponda esattamente alla situazione ossea e articolare determinatasi in seguito al fallimento e che abbia i maggiori requisiti per un veloce recupero funzionale ed una lunga durata.
Le protesi d’anca possono fallire dopo tempi variabili da pochi anni a decenni e, talvolta, questo succede per cause assolutamente sconosciute.
Non vi è dubbio che una procedura chirurgica corretta, una scelta accurata della protesi adatta al soggetto da operare, al tipo di articolazione e morfologia ossea nonché ai materiali, design e lavorazione dell’elemento protesico sono garanzia di successo e di lunga durata.
Quando la protesi fallisce comunque è possibile sostituirla con un’intervento di revisione (in mani esperte) più o meno impegnativo: oggi generalmente con esito ottimo per funzione e durata della nuova protesi e qualità di vita del paziente.
I fallimenti delle protesi d’anca si dividono in fallimenti asettici e fallimenti settici.
Il fallimento asettico è provocato da un progressivo distacco dell’elemento protesico dall’osso (mobilizzazione della protesi) accompagnata da un progressivo riassorbimento dell’osso intorno alla protesi fino a determinare, se non trattato opportunamente e tempestivamente, delle gravi caverne vuote nell’osso attorno allo stelo ed alla coppa che si sta muovendo avendo perduto il suo ancoraggio all’osso (osteolisi).
Il fallimento settico è simile a quello asettico per quanto riguarda il comportamento dell’osso attorno alla protesi (mobilizzazione – osteolisi periprotesiche) ma è pesantemente complicato da una infezione. La radice della coscia è interessata da rossore, gonfiore fino alla presenza di fistole secernenti pus, mentre il paziente soffre di febbri settiche e di quadro generale spesso molto compromesso.
La nostra esperienza
La nostra esperienza, sicuramente tra le più importanti in Italia per numero di casi trattati e per studi in proposito, ci ha portato a compilare un protocollo di comportamento di fronte al problema fallimento protesico e revisione chirurgica con sostituzione della protesi che possiamo esporre di seguito per sommi capi e con opportune semplificazioni.
I sintomi
Il dolore è il sintomo principale. Quando un paziente portatore di protesi d’anca percepisce dolore inguinale o alla coscia anteriore, deve far controllare lo stato di salute della sua protesi.
Il dolore è aumentato dal carico, diminuisce a riposo, è esacerbato dalle rotazioni (durante l’atto di mettersi calze e scarpe).
La zoppia e l’accorciamento dell’arto o la rigidità al movimento intervengono successivamente. Non è consigliabile attendere questa fase; il controllo clinico e strumentale deve essere precoce.
La diagnosi
Dopo un esame clinico-anamnestico accurato (interrogazione del paziente e visita dello specialista), l’ortopedico di fiducia potrà prescrivere esami appropriati. Vi sono oggi indagini strumentali precise che danno ad uno specialista esperto la possibilità di fare una diagnosi precisa.
La radiografia comparata con gli esami radiologici precedenti e la scintigrafia ossea, di solito sono sufficienti a dare risposte esaurienti.
Talvolta si evidenzierà solo un sovraccarico doloroso dell’osso che fatica a sostenere l’elemento protesico senza i segni del fallimento; altre volte invece appare chiaro il fallimento rappresentato dalla mobilizzazione di ambedue gli elementi protesici o di solo uno di essi (coppa cotiloidea o stelo femorale).
In casi limite, il paziente si presenta con scintigrafia positiva per fallimento ma con una mobilizzazione da gravi osteolisi che hanno distrutto l’osso circostante la protesi fallita e che saranno un problema per il nuovo impianto protesico da revisione.
Grazie al lavoro di alcuni con altri valorosi colleghi, il Prof. Marco d’Imporzano ha provveduto a fondare un gruppo di studio su questo argomento: Il Gruppo Italiano per la Revisione “delle protesi fallite” (GIR). Questo sodalizio di chirurghi ortopedici di cui ha avuto l’onore di essere presidente, ha studiato e risolto quasi tutti i problemi connessi a questa patologia delle protesi articolari e tutt’oggi è al lavoro per creare e discutere nuove procedure diagnostiche e terapeutiche in collaborazione con i migliori centri internazionali.
La diagnosi è così stata codificata in 4 stadi:
GIR 1: mobilizzazione della protesi ma con osso circostante valido
GIR 2: mobilizzazione della protesi con escavazione dell’osso circostante
GIR 3: mobilizzazione della protesi con perdita grave dell’osso circostante
GIR 4: mobilizzazione della protesi totale e gravissima perdita di osso (osteolisi) tale da rendere difficilissima la procedura di riprotesizzazione.
L’accurata classificazione preoperatoria dei problemi del tessuto osseo circostante la protesi fallita, offre la possibilità di pianificare con precisione il trattamento di ricostruzione e scegliere il nuovo elemento protesico più adatto.
Il trattamento
Il trattamento di un fallimento protesico asettico deve fondarsi su due direttrici fondamentali:
- valutazione dell’osso circostante la protesi fallita attraverso esami radiografici e TAC;
- scelta di un elemento protesico di forma e grandezza adatti e che abbia la possibilità di ancorarsi là dove esista ancora una parte di buon tessuto osseo residuo.
1. Valutazione dell’osso attorno alla protesi fallita
Il nostro protocollo prevede (in parole comprensibili per i pazienti) diverse possibilità di intervento chirurgico a seconda della solidità dell’osso ancora presente attorno alla protesi fallita una volta che questa sia stata rimossa. La valutazione comprende per prima cosa lo studio della tecnica di rimozione dell’elemento protesico fallito, a volte possibile solo a prezzo di complesse aperture dell’osso per estrarre protesi mobilizzate da anni e incarcerate da nuove crescite dell’osso circostante stimolato per troppo tempo dal movimento patologico dell’elemento protesico nel suo processo di progressivo distacco dall’osso ospite.
Spesso la parte più difficile dell’intervento risiede appunto nella rimozione della protesi fallita; cui l’esperienza e la manualità del chirurgo sono fondamentali. La protesi va tolta con un occhio sempre attento a conservare l’osso per poter poi ancorare il nuovo impianto; questa la nostra filosofia che si è poi sempre dimostrata vincente.
Conoscere la struttura, la vitalità e la affidabile solidità delle varie parti anatomiche dell’osso dell’anca dove si lavora; conoscere le strutture muscolo-tendinee e vascolari che, se conservate, daranno al paziente una veloce ripresa, conservarle durante la procedura di rimozione della protesi fallita e saperla adottare alla nuova protesi produce interventi poco invasivi, perdite di sangue molto contenute e dolore postoperatorio modesto.
2. Nuova protesi da revisione
A) Se l’osseo circostante l’elemento cotiloideo e femorale rimossi è sufficiente a fissare un nuovo elemento protesico, può essere impiantata una nuova protesi totale con la tecnica della protesi primaria usando un elemento protesico tradizionale.
B) Se l’osso residuo ha lesioni osteolitiche ma con pareti sufficienti a sostenere una protesi da revisione (di struttura e forma particolari). Si pone in opera una protesi dedicata (cotile con viti, stelo lungo, ect.) ed eventualmente un trapianto di osso con cellule staminali e fattori di crescita.
Le protesi da revisione sono moltissime e sono provviste di metallurgia e design particolari, tali da adattarle alle più svariate tipologie lesionali esito dell’usura determinata dalla mobilizzazione della vecchia protesi e degli inevitabili danni provocati dalla rimozione chirurgica della protesi fallita. Coppe cotiloidee ovali, rotonde con molti fori per mettere viti di ancoraggio, di grandi dimensioni per le grandi escavazioni, steli lunghi che possono ancorarsi nel femore fino quasi al ginocchio. Anche la metallurgia ci mette a disposizione soluzioni di superfici superaderenti all’osso e che si ancorano saldamente ad esso e leghe metalliche particolarmente favorevoli.
C) Osso circostante con gravi lesioni osteolitiche, perdita di pareti e di tessuto osseo estesi
In questi casi la procedura chirurgica è dominata dalla ricostruzione di una solida struttura ossea recettiva per la nuova protesi con grandi trapianti di osso di banca e aggiunta di fattori di crescita, cellule staminali. Anche qui come nel caso precedente la protesi dedicata è sempre provvista di dimensioni e forma adatte a fissarsi là dove esiste un osso solido e in grado di sostenere l’impianto fino alla integrazione dei trapianti.
D) Le biotecnologie
Da pochi anni alcune scoperte scientifiche hanno rivoluzionato il sistema osso-protesi soprattutto nella procedura delle revisioni protesiche. Il concetto di ricostruire sostituendo l’osso distrutto dal fallimento con protesi di forme varie e dedicate, ma sempre più grandi e invasive, è stato completamente soppiantato dal nuovo e più biologico concetto di ricostruire con tessuto osseo di banca o da cadavere un ambiente adatto e solido per ospitare la nuova protesi.
In primo luogo sono state create banche regionali dell’osso che erogano osso sterilizzato e pronto al trapianto secondo forma e quantità richieste dai chirurghi che ne ravvisano la necessità dopo aver valutato il tipo di intervento, come descritto nei punti A) e B).
In secondo luogo la scoperta delle proteine morfogenetiche (BMP), dei growth factors piastrinici, delle cellule staminali ha risolto il problema del rapido e completo attecchimento dei trapianti. In parole comprensibili molto dei segreti dell’osso, di come si organizza, di come si ricostruisce e ridiventa un solido tessuto di sostegno, sono stati svelati. Oggi li usiamo con successo per risolvere anche i problemi più difficili.
La BMP (proteina morfogenetica) che orienta le cellule a diventare cellule ossee, i fattori di crescita contenuti nelle piastrine del sangue che stimolano le cellule dei tessuti a crescere e moltiplicarsi, le cellule staminali proprie del paziente, già vogliose di diventare cellule ossee e che possono essere estratte durante l’intervento dall’osso del bacino con una comune siringa, concentrate e messe al lavoro nel trapianto di osso proveniente dalla banca attorno alla nuova protesi. I tessuti ossei artificiali prodotti in laboratorio e riabitabili dalle cellule ossee che li sostituiscono gradualmente e ne provocano la integrazione subtotale nell’osso nuovo.
Dopo anni di studi e ricerche il nostro gruppo chirurgico è – in questo campo – tra i primi in Italia e a livello internazionale per competenza, numero delle procedure eseguite, lavori scientifici e ottimi risultati. Un altro passo avanti per ridare vita e funzione a tanti gravi fallimenti protesici.